Non ricordo esattamente la sera in cui Jonathan mi passò il demo del suo nuovo gruppo.
Di certo eravamo al Covo.
Mi chiese di dare un ascolto alle tre canzoni registrate su quel cd, poi ci saremmo sentiti.
Gli interessava sapere cosa ne pensassi.
Nel breve comunicato infilato nella busta di plastica trasparente assieme al cd, c’era scritto che il nome del gruppo era A Classic Education.
Io per un po’ ho continuato a chiamarli A Catholic Education, sovrapponendo al loro nome il titolo del primo album dei Teenage Fanclub.
Tra le tre canzoni di quel demo ce n’era una che già al primo ascolto aveva un impatto sbalorditivo.
Sì, forse ricordava un po’ alcune cose degli Arcade Fire.
Però era davvero un gran pezzo. Si chiamava Stay Son.
I primi dieci secondi sono quasi un sibilo impercettibile.
Come fosse il rollio di un aereo.
Che all’undicesimo secondo prende il volo.
Prima lentamente. La chitarra e a fianco la batteria che tiene un tempo medio.
Al venticinquesimo secondo parte la rullata ed entra la voce: stay, beneath the covers child, don’t miss the dream, don’t be the first to go, don’t trust no one, I’ll hide the same.
La canzone sale eppure rimane ferma, sempre sullo stesso ritmo.
E’ al minuto uno e dieci secondi che il mondo gira.
Ancora un ritornello senza parole.
Uno di quelli che per cantarlo non devi andare a cercare la frase nascosta in mezzo al testo.
Puoi farlo semplicemente aprendo la bocca e cominciando ad urlare.
In mezzo alla pista di un club, sulla spiaggia, in piedi al centro della stanza, seduto in macchina mentre attorno tutto il mondo sfreccia veloce.
O resta immobile di fronte ad un semaforo rosso.
Never mistake the fears rolling down your cheek
Never mistake the tears falling down your cheek
Poi la musica scompare.
Sono passati poco più di tre minuti ma ne manca quasi uno alla fine.
Rimane la voce quasi da sola: don’t trust no one, I’ll hide the same.
Ecco, se dovessi riassumere la scorsa estate la chiuderei tutta in quel minuto scarso.
I piedi nudi che fino a un attimo prima avevano calpestato le assi del piccolo pavimento rialzato in legno si fermano.
Il dj immobile appoggiato al vetro davanti al bar, le braccia incrociate e lo sguardo fisso nel buio a cercare il mare giù in fondo.
Aspettando la prossima canzone, assieme ai ragazzi lì davanti.
Jonathan, non ti ho mai detto effettivamente cosa pensavo del demo che mi allungasti quella sera al Covo.
Comunque volevo avvisarti che questo è l’effetto che mi ha fatto e che ancora mi fa.
domenica 6 gennaio 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
2 commenti:
Per me, la canzone 2italiana" dell'anno, aspettando l'album !!
non avrei saputo dirlo così bene. anche senza un disco, li porto a suonare qua, "quanto è vero Michael Stipe" :)
Posta un commento