Ieri sera ero al Locomotiv.
Suonavano due gruppi, una specie di show case di una nuova etichetta italiana chiamata Tea Kettle.
I primi erano i Clever Square, i secondi gli Isabel at Sunset.
Durante il set di questi ultimi mi sono preso qualche secondo per fare la conta dei presenti.
In sala eravamo in diciotto.
Considerando che il gruppo sul palco era composto da cinque persone, che una coppia era a lavoro dietro al banco del bar e altri due ragazzi si occupavano dell'organizzazione del concerto, rimanevano nove persone di pubblico vero e proprio.
Tra questi ho considerato la tipa che si occupava del banchetto dell'etichetta ed altre ragazze che presumo fossero le fidanzate dei componenti degli Isabel at Sunset, data la costanza con cui si impegnavano a fotografare la banda.
In sostanza credo che dei presenti non più di cinque persone avessero scelto coscientemente di assistere alla serata pagando i cinque miseri euro del prezzo del biglietto.
Due di questi erano i miei amici Fabio e Flavia.
Noi tre, seduti ad un tavolino alla sinistra del palco, totalizzavamo tutti assieme più di centoventi anni di età.
E ciascuno di noi tre avrebbe potuto tranquillamente essere il padre di uno dei due Clever Square.
A un certo punto la Flavia, con un calcolo un pò azzardato, ha addirittura avanzato l'ipotesi che di quei due avremmo anche potuto essere nonni.
Un pò precoci, ma pur sempre nonni.
Noi per logica non saremmo dovuti essere là.
Dovevamo essere a casa davanti alla tivù a guardare Fazio e poi Report e la Domenica Sportiva. O qualche sit-com in dvd.
Ora è chiaro ed assolutamente legittimo il fatto che ognuno abbia gusti diversi.
Ci mancherebbe altro.
Ognuno è libero di trascorrere la domenica come gli pare, certo.
Di apprezzare un gruppo anzichè un altro, chiaro.
Quello che mi pare impossibile, quello che francamente proprio non ci stà, ciò che non sono disposto ad accettare, è che in una città come Bologna in cui ci sono - e ragione per ampio difetto - almeno cento persone che possono in qualche modo considerarsi (anzi spesso e volentieri pretendono di essere considerate) addetti ai lavori nel micro universo della musica indie (musicisti, giornalisti, blogger, discografici) non ci sia nessuno minimamente interessato, o anche solo incuriosito, allo showcase di una nuova etichetta discografica che nel suo manifesto programmatico mette in fila Okkervil River, Yo La Tengo e Teenage Fanclub.
Possibile che a nessuno interessi verificare come suonano due ragazzini di sedici e diciassette anni che ad un certo punto, di fronte a un pubblico del genere, se ne escono con una frase come: "Conoscete gli Sparklehorse? La prossima canzone è un loro plagio. Anzi era un pezzo di Daniel Johnston, ma ci siamo accorti che la nostra canzone era identica solo ieri sera. Non lo abbiamo fatto apposta."
C'è ancora qualcuno là fuori che è veramente interessato alla musica?
C'è qualcuno che ha ancora voglia di scoprire le cose?
Qualcuno che preferisce trascorrere una domenica in orario umano (diciamo tra le 20 e le 22) davanti a un palco su cui si suona musica rock, piuttosto che fare qualunque altra cosa?
O è solo una questione di nomi da elencare a caso - ma attenti a non sbagliarne neanche uno - tendenze e coolness a tutti i costi?
Ok, coolness da sfigati ma pur sempre coolness.
E la musica, certa musica, è solo un modo per trascorrere una serata tra amici e sentirsi fighi a citare l'ultimo gruppo finito in copertina su The Wire?
In attesa che finisca la vita da studente fuori sede e si parta tutti per un bel master negli Stati Uniti a spese del papà?
E non venite a dirmi che è successo perché la sera prima eravate tutti a vedere i Settlefish.
Non provateci.
lunedì 3 dicembre 2007
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11 commenti:
grande art come sempre.
per il coraggio di non avere il paraocchi, per la voglia che hai di andare dritto al punto, per bacchettare una scena che sarebbe logico ti prendesse a riferimento.
come spesso fa del resto, ma forse anche tu rischi di essere uno dei nomi che fa figo pronunciare.
la gente non compra più i dischi
la gente non va più ai concerti
tutti parlano di musica
quasi tutti hanno un myspace
in molti un blog.
e aggiungo che anche per quel che riguarda the wire sono ben pochi quelli che lo fanno realmente proprio visto che fa meno di 50mila copie worldwide.
Ciao Arturo,
qui Emilio Settlefish, sì ogni tanto pur non avendone uno, anche io leggo i blog.
E' verissimo quello che dici ed è spiaciuto anche a me non presenziare al concerto, ma morfeo mi ha abbracciato sulle 21.00, complice la dose massiccia di alcol della sera precedente.
E' un vero peccato che un posto che offre concerti validi (credo di avere visto l'80% della programmazione del locomotiv)e ad un prezzo stracciato sia generalmente poco popolato.
Vorrei però fare cadere l'occhio su un'altra tendenza. Il medesimo posto nelle serate discohous vattelapesca è popolatissimo.
C'è un ritorno incombente della dance anche se molti giornali specializzati appiccicano il suffisso indie a qualsiasi cosa.
Anche il Covo nelle ultime volte che ci sono transitato mi sembrava molto di più fremere per il dopo concerto più che per il concerto stesso.
Forse è solo l'ennesimo ricorso storico, io sono del '79 e ormai mi sono abituato a non vivere periodi che non siano dei revivals.
Però insomma qua sembra proprio di essere nella bruttissima copia degli anni '80. Butta la musica frivola, basta che faccia ballare, e le droghe pesanti, che non sono solo l'eroina, riscorrono a fiumi, complice anche un prezzo sempre più basso, per giunta al governo c'è un centro sinistra che assomiglia tanto auna coalizione di conservatori, si riabilita Craxi. L'unica differenza con gli anni '80 è che di giovani ricchi e rampanti ce ne sono pochini e di dischi non se ne vendono proprio più.
Ci vorrebbe un riscatto generazionale e un risveglio da questo appiattimento culturale che si è impadronito anche dell'underground aimè.
Scusami la filippica, ma il tuo discorso mi ha colpito e lo condivido.
A presto
Emilio
emilio: è vero la rete ha reso tutto più accessibile, anche la musica.
ora tutti conoscono i nomi dei gruppi e tutti possono dire di avere questo o quel disco. in mp3.
è diminuita la capacità di approfondire, di essere soli nella propria cameretta gustandosi un ascolto con la confezione tra le mani.
nessuno va più ai concerti.
non è più l'unica occasione per vivere una "scena" e sentirsi parte di "qualcosa".
si parla di musica magari all'aperitivo, magari su myspace o messenger perchè ora la "scena" è lì, in rete. e poi ci si ritrova a far casino in pista.
più facile se in battuta.
ci sta, ma sto dalla parte dei vecchi. di quelli che si trovano ai concerti e comprano i dischi al banchetto.sto con art.
Ah caro Chris, pure io! La mia era solamente una triste constatazione.. A venerdì!
Emilio
Per una volta fatemi fare l'avvocato del diavolo: il post di Arturo mi sembra decisamente esagerato.
Comprendo l'amarezza per la constatazione della scarsissima affluenza a un bel concerto (del resto recentemente ne ho viste diverse di serate così, ad esempio -proprio al Locomotiv- l'eccellente live dei Don Turbolento che non ha avuto più di una ventina di paganti), e il desiderio di sfogarsi e incazzarsi perchè in un mondo ideale (e soprattutto, anche se è tutto tranne che ideale, nel mondo col prefisso indie- usato ad ogni occasione) cose del genere non dovrebbero succedere. Ma non si può fare di tutta l'erba un fascio, e sdegnarsi in modo generalista solo perchè un blog consente di farlo senza filtro. Sono già in troppi a usare questo mezzo così, e questa facilità allo sedegno e alla critica impulsiva (come all'entusiasmo a tutti i costi) è proprio una delle cose che gli fanno perdere di credibilità come mezzo in sè, nonchè una delle cose che so non piacere, ad esempio, proprio ad Arturo che ha scritto e a Chris che ha commentato.
Il concerto dei Settlefish della sera precedente (proprio lui) è la causa principale dell'assenza di molte delle cento persone che, come dice Arturo, pretendono di essere considerate addetti ai lavori.
[Me compreso, se posso rientrare nel novero]
In una valutazione del genere non si poteva prescindere dall'occorrenza di un (affollatissimo) evento del genere la sera precedente, nè dalla gioventù dalla location e dei suoi appuntamenti domenicali, e neanche dalla sua relativa inappropriatezza nei confronti degli act più piccoli come quelli della Tea Kettle, oppure dal fatto che gli Isobel at sunset abbiano già suonato in città (al Covo) poco più di un mese fa.
So per certo che diverse persone interessate alla serata hanno poi rinunciato proprio per le ore antelucane fatte la sera prima, unite alla caratteristica carogna da domenica sera che chiunque lavori 10 ore al giorno in un ufficio conosce bene. Prendersela con loro (cioè, con noi) aprioristicamente, nel nome del richiamo a un'integrità così sfuggente e mutaforma che ciascuno si fa la sua (ed è discutibile che possa criticare quella degli altri), mi sembra, se non sbagliato, quantomeno esagerato.
Chi è di noi che ha ragione?
Oppure, di cosa stiamo parlando?
Di solito preferisco non intervenire nei dibattiti, che siano on line o al banco del bar.
E' una scelta personale derivata da anni di parole che hanno portato ad un totale sfinimento.
Non posso però esimermi dal replicare ad alcune cose scritte da Inkiostro qui sopra.
Per punti:
-Grazie per aver vestito i panni di avvocato del diavolo, parlare solo con chi è daccordo serve unicamente a cementare certezze. Molto più interessante alimentare incertezze, in se stessi e negli altri.
-Il fatto di aver assistito anche tu ad altre "serate così" dovrebbe portare ulteriore ragione a quanto ho scritto nel post.
-Non ho la minima illusione di poter vivere in un mondo ideale. Il punto non era che trovo ingiusto l'assenza di pubblico a certi concerti confrontandola con il pieno di altri (e non mi riferisco, a scanso di equivoci, alla citazione dei Settlefish che avevo infilato a fine scritto), ma che trovo irritante che in un cosmo sia pure micro come il nostro in cui per citare Chris: "tutti parlano di musica, quasi tutti hanno un myspace, in molti un blog, la gente non compra dischi e non va a concerti", nessuno (letteralmente) fosse interessato ad un concerto di due nuovi gruppi indie (perdona l’aggettivo) italiani che, almeno da quello che si legge in giro, potevano avere validi argomenti da esporre.
-Certo gli Isabel at Sunset avevano suonato al Covo da poco di spalla ai Canadians. La critica verteva più su un tema di carattere generale (come hai rilevato anche tu a proposito dei Don Turbolento) che non sullo specifico da cui ho preso spunto.
Comunque personalmente ero molto curioso di ascoltare i Clever Square e mi sono stupito che nessun altro lo fosse.
-Sulla carognaggine della domenica sera non posso che concordare, ma ricordo anche - come ho scritto nel post - che l'orario dei concerti domenicali del Locomotiv è tale da consentire un tranquillo commiato dal week end a fronte di un vuoto pneumatico di altre cose da fare quel giorno e a quell’ora.
-Quanto all'integrità lungi da me l'idea di pormi al di sopra delle parti e dettare regole su cosa sia giusto e sbagliato fare.
Ripeto per l'ultima volta: il disappunto (che per quanto mi riguarda è atavico e non necessariamente legato a questo momento storico) deriva dalla constatazione che in troppi (soprattutto qui a Bologna) ci riempiamo la bocca parlando di musica e imbrattiamo carta scrivendone, facendo credere a noi stessi e agli altri che questa sia la cosa più importante del mondo.
Un mondo che per inciso non sarebbe ovviamente migliore né ideale se a un concerto "interessante" ci fossero duecento persone anziché diciotto.
La questione per quanto mi riguarda è legata ad una (malintesa?) ipotesi di certificazione culturale che spesso molti di noi si illudono di avere solo per il fatto di appartenere ad una certa area, oppure chiamiamola pure col suo nome: SCENA.
Detto questo aggiungo che quanto scritto da Emilio circa uno spostamento del "nostro" pubblico verso il dance floor è innegabile, ma è un discorso che solo tangenzialmente tocca l’argomento su cui ho puntato il dito.
Per intenderci: ce l’avevo con quelli che si proclamano credenti ma non trovano il tempo per andare a messa la domenica.
Non so, continuo a non vedere il punto. Vedo i singoli punti, e su alcuni sono d'accordo più con l'impressione di pancia (brutto -bruttissimo- vedere poca gente a un concerto di un paio di band giovani, soprattutto quando tutti non facciamo altro che cercarne continuamente, di band giovani e promettenti) che con le riflessioni conseguenti.
Credo che di certificazioni culturali ormai in questo campo ne siano rimaste ben poche, e che peraltro vengano tutte sempre costantemente messe in discussione da eventi e fenomeni diversissimi e impredicibili, che siano una nuova tendenza musicale, una nuova rete di social network, i mutati gusti di Pitchfork o NME, l'apertura o la chiusura di qualche locale o l'uso di un pezzo che ci piace da parte di una pubblicità. Ciascuno decide quanto ha voglia di starci dietro, e si ritaglia il ruolo che vuole o può giocare. Chi sta dietro a tutto e cambia idea ogni 5 minuti, chi si arrocca sulle sue certezze e la sua esperienza, chi cerca un percorso coerente tra i suoi gusti ma non sempre lo trova, chi soccombe dietro i propri impegni e ogni tanto lascia perdere.
La scena è una rappresentazione (nomen omen), e ciascuno si trova a rappresentare ciò che vuole o riesce. Per quanto piccola, asfittica e autoreferenziale, di questi tempi c'è spazio per tutti, perchè le certificazioni, pare, sono talmente tante che alla fine non valgono quasi più niente.
E' un bene? Probabilmente no, e chi vuole ha tutto il diritto di incazzarsi (è esattamente il suo ruolo, dopo tutto); ma le cose, ormai, mi sa tanto che stanno così.
ciao arturo, come ti capisco! Non sto a scendere nei dettagli (avremo tempo di capire) ... e se non ero a dublino sarei stato al lokomotiv e avrei mantenuto salda la media dell'età di quel tavolino! :-)
Ho visto solo ora il post,
e se devo esser sincero questi primi 2 mesi di programmazzione mi hanno lasciato un pelo confuso...
...la cosa un mi lascia più esterefatto è il numero di proposte di gruppi che "vogliono(fortissimamente vogliono)" venire a suonare. Sono gruppi di zona e poi per la miseria non sono "MAI e dico MAI" a vedere un concerto che sia uno!
Con un sottile gioco di pretesa, per cui, tu non vai vedere nulla, ma gli altri DEVONO venire a vedere te suonare.
Gente che se non vengono in Italia gli Arcade Fire e i Sigur Ros il loro sedere non lo muovono per niente e vanno a popolare qualsiasi birreria a caso.
Questa mancanza di curiosità e questa mancanza di supporto reciproco un pò mi fà girare i coglioni...
...ma poco importa,
ciò che importa è la buona musica
(cit. Merighi),
e andare a lavorare il lunedì mattina.
tommy-locomotiv club.
(la forma è un pò confusa ma spero si capisca cosa voglio dire).
tommy: ecco quello che denunci è un altro aspetto drammatico:
tutti suonano nessuno va a vedere gli altri suonare.
Gran bel post. Coraggioso come solo voi riuscite ad essere in rete. Mi dispiace per la scarsa affluenza. I concerti no capitano. Chi suona ed e' abituato a vedere concerti sa che possono capitare inaspettati pienoni come sorprendenti fiaschi. Fa parte della magia dell'imprevidibilita' dei concerti. I fattori possono essere tanti. Un po' mi dispiace per i Clever, che sono amici e comunque hanno appena iniziato e hanno la grande forza di dare il massimo anche davanti a cinque persone, propripo per il loro sorprendente e genuino entusiasmo musicale.
Per quanto mi riguarda avevo intenzione di venire, ma quel giorno ero impegnato con altro. Come dicevo, oltre a cameratismo e volonta', esistono purtroppo anche le concomitanze di una vita realte, che ogni tanto fa capolino nella totale carenza di vita di noi indie-frequentatori di concerti.
Bella li'
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