sabato 15 dicembre 2007

The Year Before the Year 2008

Qualche settimana fa, come sempre di questi tempi, il giornale mi ha chiesto di compilare la lista dei miei dieci dischi preferiti usciti negli ultimi dodici mesi.
Come mi accade da qualche anno a questa parte ho svolto il mio compito con poca voglia e malcelata sufficienza.
Sentimenti riscontrabili facilmente da coloro i quali hanno avuto o avranno la curiosità di andare a scorrere la lista.
Non sto qui a tediare me stesso e chi per caso transita da queste parti a spiegare il perché a me di queste classifiche di fine anno – della mia e di quelle degli altri – non mi importi più nulla.
Dico più, perché un tempo era diverso.
Ma un tempo quasi tutto era diverso.
Comunque appena ho riletto la lista mi sono accorto di tre dimenticanze piuttosto grossolane.
Anzi di una me ne sono accorto appena con lo sguardo ho incrociato la copertina del giornale che a pagina settantotto quella classifica riportava.

Il disco dei Battles è un disco che lì dentro doveva starci.
Perché è un disco che mi ha reso familiari suoni che solitamente non mi piacciono.
Dischi del genere li trovo spesso noiosi, eccessivamente costruiti, forzatamente stipati di tecnicismi.
E poi fondamentalmente, (quasi) manca la voce.
Per farla breve, a me il post rock non è mai piaciuto granché.
Come ho già avuto modo di raccontare, io sono un tipo semplice.
Le cose complicate non le capisco e non ho voglia di provare a farlo.
In questo momento ad esempio la colonna sonora che scorre dietro le mie spalle è Beat Boys in the Jet Age, il primo album dei Lambrettas.
Quelli che aprirono per i Madness il concerto al palasport nell'ottobre dell'ottantuno.
Invece il disco dei Battles, che resta comunque una discreta mazzata, mi ha intrigato sin da subito.
Quando ancora prima di ascoltarlo mi sono imbattuto nel video di Atlas nel bel mezzo di una puntata di Our Noise.
Un tardo pomeriggio di un po’ di tempo fa.
Una canzone complicata che però si balla.
Accidenti.
E anche il resto non è male.

Anche il nuovo disco dei Liars poteva tranquillamente piazzarsi in mezzo alla playlist dell'anno appena trascorso.
I Liars non mi hanno mai convinto al cento per cento.
A parte il primo album li ho sempre trovati pretenziosi, come in cerca di ogni pretesto per essere considerati strambi.
Ma di quella stranezza che se non la consideri geniale allora sei un coglione.
Non so come spiegarmi meglio, credo sia colpa della critica piuttosto che loro.
Comunque sia ogni volta che stavo per entrare in un loro disco ho trovato sempre ostacoli improvvisi piazzati come trappole da qualche parte, finendo così col venirne rigettato fuori.
Il loro ultimo disco invece mi piace.
Sarà che non mi aspettavo grandi cose, ma mi piace.
Mi piace soprattutto la loro decisione di rimettere tutto in gioco cominciando a giocare con i generi.
Che poi è la cosa che ha fatto mediamente incazzare i loro fan.
Citazioni di Beck, Bauhaus e Jesus and Mary Chain, e checazzo.
Bravi.



L’ultimo disco che mi sono dimenticato è uno di quelli che dovrebbe stare annidato nel mio dna, e dunque non me ne sarei dovuto scordare a differenza dei primi due che tutto sommato con me non avrebbero granché da spartire.
L’omonimo debutto dei Prinzhorn Dance School pare difatti un disco datato millenovecentottantuno o giù di lì.
Di loro ha scritto talmente bene Maurizio (Rumore #190, pag. 15) che non mi resta da far altro che copiare ed incollare qui appresso le sue parole:
Sono un duo con il mare di Brighton sotto il naso, ma soprattutto con i dischi dei Fall nelle vene.
Post punk nel senso più Reynolds del termine.
Minimali, scarni, segati all’osso ed efficacissimi.
Degli Young Marble Giants senza dolcezza che nel buio più fitto passano alla moviola Mark E. Smith.
Tutto misurato, frustate ritmiche e tribale inglese.
Eppur si danza con sguardo fisso e agilità allucinata alla David Byrne.
Odiano la musica digitale e a tutt’oggi non hanno la pagina su myspace
”.

Eroi.
E la versione di You Are the Space Invaders remixata dagli Optimo sul retro del loro ultimo singolo è – per dirla a la Gandolfi – una bombetta. Disco dell'anno, se solo me ne fossi ricordato per tempo.

Nessun commento: