L'altra sera ad un certo punto si parlava di quello che si è fatto e ancora si fa per la musica.
Argomento che in qualche modo si allaccia a quanto scritto qui sotto a proposito di Tony Face e dei bei tempi andati.
Personalmente non ho potuto far altro che constatare come per la musica e con la musica io abbia fatto di tutto fuorchè suonare uno strumento.
Che se vogliamo è anche una cosa buffa e in un certo senso paradossale.
Sono piuttosto pigro e imparare a suonare è attività che ai miei occhi è sempre parsa assolutamente improba, pur essendo nato con i parametri del punk e l'etica del do it yourself.
Che significa essere cresciuto con la ferrea convinzione che per suonare non era assolutamente necessario imparare a farlo.
Comunque tutto il resto l'ho provato.
A volte riuscendoci a volte un pò meno.
Conduco una trasmissione radiofonica da vent'anni, anche se ultimamente sto delegando molte responsabilità al mio vecchio socio, scrivo su un noto mensile da oltre quindici anni, sono coinvolto nella gestione di una etichetta discografica indipendente, da un pò di tempo seleziono dischi nei locali che mi piacciono con una certa continuità.
Solo nei locali che mi piacciono però.
Dalle mie parti è passata un sacco di gente più giovane, in alcuni casi molto più giovane, a cui ho provato a trasmettere entusiasmo e l'idea che la musica, per come la vedo io, è soprattutto una questione di attitudine.
Qualcuno ha compreso e seguito, qualcun'altro ha capito ma poi si è perso, altri invece non ci hanno nemmeno provato.
E sono quelli più fortunati, quelli che hanno deciso, più o meno coscientemente, di vivere di altro e per altro.
Quelli che hanno evitato il contagio.
Una volta il cantante di un noto gruppo rock italiano, gente venuta dal basso e comunque, caso più unico che raro, alla fine arrivata a sistemarsi piuttosto bene e con pieno merito, mi raccontava di quante lui ne avesse passate e di come tutto sommato non pensasse di avere meriti particolari per il solo fatto di aver tenuto botta.
Semplicemente riteneva che lui nella sua vita non avrebbe potuto fare nient'altro che suonare una chitarra elettrica e che quindi, indipendentemente dagli esiti, avrebbe continuato a farlo anche a costo di condurre un esistenza da morto di fame.
Non so, magari lo diceva solo perchè alla fine è arrivato a potersi permettere un certo tenore di vita pagandolo con lo stipendio da (piccola) rock star, però in quel momento, quando mi raccontava quelle cose, a me pareva assolutamente credibile e sincero.
Ecco, io mi sento un pò così.
E l'altra sera a un certo punto si è finiti proprio a parlare di questo, mentre la cannuccia corta e nera mescolava Schweppes, Bombay e ultimi pezzetti di ghiaccio sul fondo del bicchiere.
Raccontavo di come a volte mi sembra davvero di essere arrivato in fondo, avere provato a fare tutto ciò che la mia limitata forza di volontà avrebbe potuto consentirmi di fare.
Dunque non resta molto altro a questo punto, non c’è più alcuna nuova frontiera da esplorare.
Al contrario ci sono momenti, sempre più frequenti e lunghi, in cui mi sento talmente stanco da non riuscire a credere di esserci ancora.
Ma il fatto è che non potrei fare altrimenti.
Un po’ come la rock star di cui sopra.
Solo che a differenza della rock star io da tutto quello che faccio non è che ci guadagni un granchè.
Ma quello che faccio mi aiuta a vivere meglio.
Anzi potrei dire che mi fa letteralmente vivere.
Dunque non potrei immaginarmi da nessun altra parte.
Non potrei frequentare persone diverse.
Non potrei spegnere lo stereo.
Non potrei in nessun caso permettermi di esaurire l'entusiasmo.
Mai.
E stranamente mi ritengo fortunato per questo.
Quasi un privilegiato.
lunedì 18 giugno 2007
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento