Avevo scritto del non esaltante live dei Decemberists tenutosi qualche settimana fa all'Estragon per il giornale.
Tempi tecnici hanno escluso il pezzo dalla stampa su carta.
Lasciarlo lì ora, perduto nell'enorme archivio di file word dentro l'hard disk esterno mi pareva uno spreco.
Non che il pezzo fosse particolarmente riuscito.
Però ormai l'avevo scritto, e buttare via delle parole mi dispiace sempre.
A questo punto il pezzo posso anche rivederlo, stirarlo, imbrattarlo come mi pare.
E' trascorso ormai un mese che secondo l'orologio della rete equivale ad anni dell'antico calendario romano.
Quello appeso alla parete della cucina dove sopra scrivo tutti i concerti e le date di compleanno dei miei amici, per non dimenticare.
Salvo poi ignorarne sistematicamente la consultazione.
Tanto per ricordare che da queste parti non si insegue necessariamente l'attualità.
Comunque ecco qui:
The Decemberists
17 febbraio Estragon, Bologna
Ci sono molti modi per liquidare una storia.
Porte schiantate e pugni sbattuti in aria o nuovi amori che ingombrano il già scarso spazio concesso per condividere la vita.
L’usura del tempo o anche semplicemente la decisione di andare da un'altra parte.
Cambiare.
Si modifica percorso, ognuno per la sua strada senza rancore, perchè è arrivato il momento di chiedere e dare cose diverse a chi ci sta di fianco.
E chi ci sta di fianco in quel momento non è in grado di recepire il cambio di direzione.
Ecco, i Decemberists pare abbiano optato per questa ultima ipotesi.
Senza clamori hanno impacchettato le loro cose, passato un doppio giro di spago attorno alle valigie, e se ne sono andati.
Già lo si intuiva ascoltando il loro ultimo disco, The Crane Wife, con quei dodici minuti e passa di The Island piazzati vicino all’apertura.
Come stasera, seconda canzone del set: una svirgolata di tastiera che non finisce più, una roba che neanche i Goblin sarebbero stati in grado di inventarsi (ma qualcuno accanto a me sussurrava il ben più temibile e cattivo paragone col Rondò Veneziano, niente meno).
Colin Meloy, con quel suo faccione tondo ed occhialuto, pare quasi fratello di Ben Gibbard, almeno quanto i suoi Decemberists sono cugini ai Death Cab for Cutie, per quella comune capacità di comporre canzoni superiori alla media mancando però in fondo il bersaglio del raggiungimento di una peculiarità capace di renderli diversi e superiori alla massa.
Peculiarità che per le loro origini e i loro trascorsi dovrebbero entrambi avere iscritta nel proprio dna.
Manca il colpo di reni.
La scintilla definitiva.
Alla fine si finisce col piacere a molti, che anche se tanti però non sono mai abbastanza, mentre contemporaneamente si perde il pubblico di una volta, quello giusto.
In più Meloy di suo ci mette una metamorfosi ormai completata in entertainer a tempo pieno, intervallando sketch umoristici a tentativi di coinvolgimento della platea talmente riusciti da indurre qualcuno a sventolare l'accendino agitandone la fiamma verso il cielo.
Niente di male, intendiamoci.
Il concerto scorre via leggero e a conti fatti strappa più sorrisi che sbadigli.
Solo li ricordavamo diversi i Decemberists qualche tempo fa, in un Covo stipato e spesso commosso.
Quando il dj un attimo dopo la fine del concerto spara le note degli Arcade Fire, non ci sono dubbi.
I Decemberists hanno fatto le loro scelte, noi continuiamo a fare le nostre.
Qualche altro nuovo amore è di sicuro nascoto dietro il prossimo angolo.
Pace.
venerdì 16 marzo 2007
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