Tutte le volte che devo cominciare a scrivere un articolo per un giornale sono sempre dubbioso sul volume del lavoro da svolgere.
In principio le cartelle mi sembrano sempre troppe.
In realtà sono sempre troppo poche.
Che siano mille battute per descrivere il primo disco dei The View, tremila per approfondire la recensione del nuovo LCD Soundsystem, duemila per raccontare un concerto dei Decemberists o quattromila per descrivere una settimana in compagnia di Ian Mac Kaye.
Alla fine, dopo aver premuto il tasto Strumenti --> Conteggio Parole comincia inevitabilmente il lavoro di scrematura, per evitare sia qualcun altro a decidere quali siano le parole in eccesso.
Qualche settimana fa, ad esempio, mi è stato chiesto di scegliere un disco adatto a rappresentare al meglio i miei ultimi quindici anni.
Che poi coincidono con i quindici anni di vita del giornale.
La scelta è stata semplicissima.
Tra i tanti gruppi della vita transitati dal mio stereo in questi ultimi tre lustri, i Pavement sono senz'altro quelli che meglio di ogni altro hanno saputo cogliere nel segno riuscendo ad incastrare tutte le tessere nei punti giusti.
Ho cominciato a scrivere e alla fine le battute si sono più che triplicate.
Al giornale l'articolo l'ho già spedito in versione riveduta, tagliata e corretta, ma siccome dei Pavement qui non avevo mai scritto e mi pareva brutto gettare nel cestino quell'overdose di parole, ecco di seguito il risultato originale.
Dell'ultima volta dei Pavement a Nonantola, della prima a Cesena e della graffetta colorata regalatami da Gary Young magari scriveremo un altra volta.
Pavement: Slanted and Enchanted (Big Cat, 1992)
Nel marzo del '92 il rock era in piena tempesta ormonale con tutto il nord ovest degli Stati Uniti da tempo impegnato a mulinare scalpello e sega elettrica per ridefinire i confini, sovrapponendo mainstream e alternativo.
Intanto il vecchio motto della SST scoloriva sugli ultimi adesivi appiccicati al legno di qualche vecchia chitarra: Corporate Rock Still Sucks!
In questo contesto Slanted and Enchanted fu cosa diversa e nuova.
Ragazzi della middle class che affrontavano la vita di taglio potendo permettersi il lusso dell'ironia ed avendo la fortunata dotazione di stile in pacchi da sei.
Tanti piccoli passi i loro, obliqui sia al mondo del pop che a quello del rock, per tracciare una specie di diagonale che transitando in mezzo al quadrato risultava lontano da molti e accidentalmente vicino a pochi.
Ciò che mi piacque subito dei Pavement fu quella loro aria di gente capitata lì per caso, apparentemente annoiata, quasi infastidita nel trovarsi con in mani gli strumenti e i riflettori puntati addosso. Come dire: noi siamo qui e possiamo farcela ma non ci interessa, abbiamo cose più importanti a cui pensare, tipo finire le due dita di vodka sul fondo del bicchiere ed infilare nel videoregistratore quel vecchio film di Kevin Smith.
Letti a posteriori dentro a quel loro primo disco stavano già tutti gli elementi atti a definirne l’immaginario.
Sin dalla copertina, un non senso grafico tale da rendere intelligibile lo stesso nome dell’opera, all’interno scarabocchi e scarti di cartoleria mentre sul retro i titoli delle canzoni sparavano in un giallo improbabile. Una roba da compilation di periferia.
Poi c’erano i loro testi, parole incomprensibili per lunghi tratti, un attimo dopo improvvisamente abili a spiegare tutto in una sola frase.
Infine la musica: ritmi serrati a doppia batteria che si trasformano in ballate squarcia stomaco, ganci pronti per Top of the Pops annegati tra chitarre e grida isteriche.
In questi ultimi quindici anni ho assorbito l'ascolto di altre migliaia di dischi, eppure ancora oggi quando piazzo sullo stereo Slanted and Enchanted ricordo esattamente tutto quello che succede, momento per momento.
Quando entra la batteria, come girano d’improvviso le chitarre, il modo in cui ad un certo punto la voce sbadiglia e quasi scompare, l'attacco preciso della canzone successiva quando la precedente sfuma.
Potrebbe forse non essere il disco tecnicamente migliore dei Pavement, per quanto risulti arduo stilare una classifica con quelli che lo hanno seguito.
E' comunque il mio preferito, perchè come sempre il debutto è quel momento che riesce a cogliere intatti entusiasmo e innocenza.
Inoltre rimane quello che mi sorprese presentandomeli (ok, avevo già il dieci pollici di Perfect Sound Forever e qualcosa avevo intuito), quello che indicò l’altra strada possibile, fuori dal bosco fumoso di Seattle, ed incrociando chissà quanto casualmente le pagine del primo Coupland finì per dettare involontariamente regole per una generazione perdente solo in quanto completamente disinteressata alla vittoria.
E quando al suo principio gli strumenti partono tutti assieme come se il disco fosse già cominciato da un quarto d’ora, continuo ancora a sentire quel sottile brivido lungo la schiena, per la milionesima volta.
Ice baby I saw your girlfriend, she’s eating her fingers like they’re just another meal.
lunedì 5 febbraio 2007
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5 commenti:
l'ateo che è in me continua a rifuggire qualsiasi connivenza con credi o superstizioni pagane, ma pochi minuti fa, prima di farmi una passeggiata per blog, decido di ascoltarmi crooked rain, crooked rain e quindi mi incammino... finchè giungo al tuo meraviglioso post e mi dico: o un grande fratello ben più reale e pericoloso di quello televisivo ci sta facendo ascoltare a tutti la stessa cosa, oppure, come diceva duke ellington, esistono solo due tipi di musica, quella bella e quella brutta... e non ci si sbaglia quasi mai, aggiungo io!
ti dirò di più caro press: per me il genere umano si divide tra chi sa riconoscere la buona musica e chi no, al di là della soggettività che ci porta (fortunatamente) a preferire ognuno cose diverse dall'altro.
il difficile è riuscire ad individuare le (non molte) persone in grado di riconoscere la buona musica.
per me è stata ed è tuttora una missione di vita selezionare queste persone, una ad una.
Il mio marzo '92 fu sì segnato dall'album dei Pavement, ma anche da un narcotico singolo dei Seam intitolato "Granny 9X". Per cui, a posteriori, ricordo con più affetto il gruppo di Sooyoung Park (sicuramente meno fortunato di Malkmus e soci).
OT:
In questi giorni mi è capitato di riascoltare spesso "Some Assembly Required" dei Lazy (Roadrunner, 1994): una band e un disco certamente "minori", ma di cui spero si tornerà a parlare, fra un po' di tempo, quando torneranno di moda gli anni Novanta.
quella graffetta da qualche parte ancora la conservo
cominciai a scrivere di musica per caso, come si inizia quasi sempre. la mia epifania, e personalissima sicurezza arrivò con un articolo su Slanted&Enchanted.
Sono molto contento, se non onorato, di aver avuto le stesse impressioni e che queste tue parole corrano su un binario simile. o parallelo.
se ti venisse voglia di leggere quello che ho scritto io eccolo qua (pg. 19-20).
un saluto,
m.
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