I belgi. Già, i belgi. Diciamoci la verità, se dovessimo calcolare l’importanza nella storia dell’umanità dei vari popoli che abitano il pianeta per cosa verrebbero ricordati i belgi? Mah…mmm….Eddy Merckx?.....I cioccolatini?…Intendiamoci, magari proprio in queste ore un pool di scienziati belgi con base ad Anversa, che si nutre esclusivamente di waffels e ascolta tutto il giorno i dEUS mentre il televisore trasmette incessantemente le vittorie (?) dell’Anderlecht sta perfezionando l’elisir di lunga vita ma, a tutt’oggi, la realtà è che i belgi sono un popolo un po’ così, nè belli nè brutti, nè simpatici nè antipatici, nè tristi nè gioiosi, con un tempo…no aspetta quello fa decisamente schifo…e con un’antipatica tendenza a finire sulle pagine di cronaca per delle faccende veramente disgustose. Però una cosa, ho scoperto, la sanno fare i belgi, sissignori: sanno organizzare un festival.
Ok capisco che questo non è sufficiente per passare alla storia, quella con la s maiuscola, ma per giustificare la propria esistenza ai miei occhi basta e avanza.
Il Pukkelpop perciò. Sì il Pukkelpop, ovvero un parco bello grande, diciamo una volta e mezzo lo spazio del Fib oppure un paio di volte l’area di Reading…Non vi dice niente? Vabbè facciamo conto un parco di buone dimensioni di una qualsiasi delle nostre città con dentro 6, dico 6, palchi di cui uno bello grande (main stage), due medi (Marquee e Club) e altri 3 divisi tra dance ed etnica di cui me ne frega molto meno. Ah, se invece della musica vi interessano le ragazze, nulla da obiettare per carità, sappiate che è soprattutto là che trovate quelle più inclini al divertimento. Ma noi si è là for the music, sì lo so che suona un po’ da sfigati, che l’esperienza festivaliera è anche e soprattutto una questione di comunanza, good vibrations e…..e non me n’è mai fregato un cazzo. Io voglio solo quanta più musica possibile, come un bimbo al parco giochi, sopra una giostra che smania già per la prossima. Tanti alberi, tanta birra, tanta gente (50.000 circa al giorno) e tante ma tante band all’opera e tutte che cominciano perfettamente in orario! Quello che segue è un resoconto, anzi no un memorandum di quello che i miei, sempre più stanchi occhi, hanno registrato lo scorso weekend così, tra qualche anno, quando farò fatica a ricordarmi perfino come mi chiamo forse riuscirò a ricordarmi perché accidenti uno stupido weekend di agosto non avevo trovato niente di meglio che andare a passare tre giorni in mezzo a dei belgi sudaticci ed ubriachi.
Ok capisco che questo non è sufficiente per passare alla storia, quella con la s maiuscola, ma per giustificare la propria esistenza ai miei occhi basta e avanza.
Il Pukkelpop perciò. Sì il Pukkelpop, ovvero un parco bello grande, diciamo una volta e mezzo lo spazio del Fib oppure un paio di volte l’area di Reading…Non vi dice niente? Vabbè facciamo conto un parco di buone dimensioni di una qualsiasi delle nostre città con dentro 6, dico 6, palchi di cui uno bello grande (main stage), due medi (Marquee e Club) e altri 3 divisi tra dance ed etnica di cui me ne frega molto meno. Ah, se invece della musica vi interessano le ragazze, nulla da obiettare per carità, sappiate che è soprattutto là che trovate quelle più inclini al divertimento. Ma noi si è là for the music, sì lo so che suona un po’ da sfigati, che l’esperienza festivaliera è anche e soprattutto una questione di comunanza, good vibrations e…..e non me n’è mai fregato un cazzo. Io voglio solo quanta più musica possibile, come un bimbo al parco giochi, sopra una giostra che smania già per la prossima. Tanti alberi, tanta birra, tanta gente (50.000 circa al giorno) e tante ma tante band all’opera e tutte che cominciano perfettamente in orario! Quello che segue è un resoconto, anzi no un memorandum di quello che i miei, sempre più stanchi occhi, hanno registrato lo scorso weekend così, tra qualche anno, quando farò fatica a ricordarmi perfino come mi chiamo forse riuscirò a ricordarmi perché accidenti uno stupido weekend di agosto non avevo trovato niente di meglio che andare a passare tre giorni in mezzo a dei belgi sudaticci ed ubriachi.
Giovedì 17/8:
la prima notizia è che quel genio di Pete Doherty provoca lo spostamento di tutto il cartellone del giorno (tra l’altro il suo concerto, spostato a mezzanotte e mezza, salta del tutto qualche ora dopo con grande scorno degli organizzatori che lo insultano apertamente mentre presentano i vari set). Ora, la pelle è la sua e ci faccia quello che gli pare ma quando comincia ad incasinarmi le giornate comincio a diventare un po’ meno tollerante… morale: arrivo su un paio di palchi e non capisco chi accidenti ci sta suonando sopra .. ah erano i Tunng: ok carini, un po’ pastorali, ma carini.
Field Music: bravi, molto angolari, molto Xtc, canzoni che si fermano dopo pochi accordi e ripartono in decine di direzioni diverse, bello.
Guillemots: dei keane indierock, insulsi.
Morningwood: lei è una cicciona impazzita con appettiti sessuali manifesti ed un gran senso del palco, il gruppo rockeggia e rolleggia e il pubblico gradisce assai, soprattutto quando lei chiama sul palco due ragazze ed un ragazzo e ci limona pesantemente, divertenti.
You Say Party I Say CHE NOIA: un’idea stiracchiata e tirata di lungo per 40 minuti, delusione. Jose’ Gonzalez: intendiamoci, lui è bravo e le canzoni sono anche belle ma una tenda stipata di gente impazzita con ovazioni dopo ogni pezzo proprio non me l’aspettavo, ma allora Elliott Smith doveva riempire gli stadi, in proporzione …boh? sorprendente.
Magic Numbers, grassi sono grassi non c’e’ che dire però sono anche ascoltabili e le loro cose dal sapore west coast sono gradevoli.
We Are Scientists, mi ricordano centinaia di gruppi ma non uno in particolare, hanno qualche buona canzone ma niente per cui strapparsi i capelli, discreti.
Snow Patrol, hanno perso gli strumenti a Heathrow nel casino post/presunto/chissà se era vero/progettato attacco terroristico perciò si presentano in due e dopo due canzoni in versione acustica mi slogo la mandibola dagli sbadigli, inutili.
My Morning Jacket, arrivano e con un set epocale e di una potenza emotiva impressionante tirano una riga al di qua della quale nessuna altra band saprà andare per tutto il weekend, gloriosi.
Beck, proprio quando stavo per catalogarlo alla voce vecchie glorie tira fuori un set spassoso incentrato su funk, rap e chitarre robuste con molte canzoni dall’album ancora inedito, il tutto condito da ’sta pantomima dei pupazzi che intervistano il pubblico e riprendono lo spettacolo dal loro punto di vista… Tutto leggero come una piuma ma francamente irresisitibile.
Nouvelle Vague: e qui mi incazzo perché già st’idea delle versioni bossa dei classici new wave dopo cinque minuti mi ha stufato ma quando me li trovo davanti diventa evidente che il tutto è in completa malafede, a cominciare dalle due sciampiste (cfr De Luca) alla voce che si muovono con il sex appeal di due quarti di bue appesi ai ganci di un macellaio (stessa agilità tra l’altro), irritanti.
Field Music: bravi, molto angolari, molto Xtc, canzoni che si fermano dopo pochi accordi e ripartono in decine di direzioni diverse, bello.
Guillemots: dei keane indierock, insulsi.
Morningwood: lei è una cicciona impazzita con appettiti sessuali manifesti ed un gran senso del palco, il gruppo rockeggia e rolleggia e il pubblico gradisce assai, soprattutto quando lei chiama sul palco due ragazze ed un ragazzo e ci limona pesantemente, divertenti.
You Say Party I Say CHE NOIA: un’idea stiracchiata e tirata di lungo per 40 minuti, delusione. Jose’ Gonzalez: intendiamoci, lui è bravo e le canzoni sono anche belle ma una tenda stipata di gente impazzita con ovazioni dopo ogni pezzo proprio non me l’aspettavo, ma allora Elliott Smith doveva riempire gli stadi, in proporzione …boh? sorprendente.
Magic Numbers, grassi sono grassi non c’e’ che dire però sono anche ascoltabili e le loro cose dal sapore west coast sono gradevoli.
We Are Scientists, mi ricordano centinaia di gruppi ma non uno in particolare, hanno qualche buona canzone ma niente per cui strapparsi i capelli, discreti.
Snow Patrol, hanno perso gli strumenti a Heathrow nel casino post/presunto/chissà se era vero/progettato attacco terroristico perciò si presentano in due e dopo due canzoni in versione acustica mi slogo la mandibola dagli sbadigli, inutili.
My Morning Jacket, arrivano e con un set epocale e di una potenza emotiva impressionante tirano una riga al di qua della quale nessuna altra band saprà andare per tutto il weekend, gloriosi.
Beck, proprio quando stavo per catalogarlo alla voce vecchie glorie tira fuori un set spassoso incentrato su funk, rap e chitarre robuste con molte canzoni dall’album ancora inedito, il tutto condito da ’sta pantomima dei pupazzi che intervistano il pubblico e riprendono lo spettacolo dal loro punto di vista… Tutto leggero come una piuma ma francamente irresisitibile.
Nouvelle Vague: e qui mi incazzo perché già st’idea delle versioni bossa dei classici new wave dopo cinque minuti mi ha stufato ma quando me li trovo davanti diventa evidente che il tutto è in completa malafede, a cominciare dalle due sciampiste (cfr De Luca) alla voce che si muovono con il sex appeal di due quarti di bue appesi ai ganci di un macellaio (stessa agilità tra l’altro), irritanti.
Radiohead: e qui c’e’ il solito problema del grande nome al festival ovvero un carnaio, posizione decentratissima, vedi poco, senti poco e le gambe ti fanno un male cane dopo un giorno di rincorse, si resiste poco ma quello che si vede è indubbiamente di un altro pianeta, nel bene e nel male, alieni.
Venerdì 18/8:
Archie Bronson Outfit: un po’ legnosi ma affatto male, meritevoli.
Psapp: strumenti giocattoli e tanta simpatia (o almeno loro credono), impalpabili.
Forward Russia!: comincia la prima canzone e non riesci a stare fermo arrivi alla quarta e non ti fermi finchè non trovi l’uscita: monolitici.
Pipettes: E’ un gioco talmente a carte scoperte che non può che risultare simpatico. Carine le canzoni, carini i balletti, carine le ragazze (oddio a dire la verità la bionda è proprio gnocca). Contagiose.
Dears: quanto mi era piaciuto il primo album e quanto non sopporto questo set ipervitaminico: sbruffoni.
Dirty Pretty Things: Carl Barat è ingrassato notevolmente e per sua fortuna anche le sue canzoni sembrano più rotonde: accettabili.
Scissor Sisters: la musica non mi dice niente ma stanno sul palco meravigliosamente, il gioco dei ruoli prevede per lui una checca scatenata e per lei una prostituta d’alto bordo e di colpo ti ritrovi in una discoteca newyorchese anni 70. Stylosi.
Spinto Band: giovani anzi giovanissimi, con una carica addosso che se li attacchi ad una centralina dell’enel dai luce a mezza città, canzoni carine, la luce (!) va via ma loro ammazzano il tempo facendo corse e ginnastica sul palco, mi diverto. Incontenibili.
Be Your Own Pet: Giovanissimi, scatenatissimi, ci credono un sacco. Io No. Non pervenuti.
Raconteurs: Hanno un bel da dire che questo è un vero gruppo e non Jack White con una backing band. Mr White Stripes ha un ego ed un carisma che risucchia tutto nell’arco di 10 Km. Ed è sempre un bel sentire. First Class.
Twilight Singers featuring Mark Lanegan. A vedere come si trascina sul palco per la sua, brevissima, apparizione si direbbe che Lanegan è solo un po’ più furbo del Doherty a non farsi beccare. A Greg Dulli vogliamo bene però invecchiare a volte è impietoso. Malinconici.
Tv On The Radio: Un assalto sonoro, sempre a fuoco, chitarra post punk, cantato rabbioso ed in mezzo un mare di altre cose. Unici.
Sabato 19/8
Gang Gang Dance: Sembrano vecchi, suonano vecchi. Anacronistici.
Rogers Sisters: Neanche malaccio ma da New York arriva ben altro di questi tempi. Sufficienti. Joan As Police Woman: Non proprio bella ma molto donna, brava, con una gran passione per Jeff Buckley. Non è facile coinvolgere con piano e voce subito dopo pranzo ma lei ci riesce sovente. Ammaliatrice.
Cursive: Sono in 7. Fanno casino per 70. I nuovi pezzi sono da 7+. Coerenti.
!!!: Visti l’hanno scorso al Fib:deludenti. Oggi invece acchiappano subito il groove e non lo mollano più. Un pochino meno di cazzeggio e tutto, in genere, più a fuoco. Concreti.
Panic! At The Disco: No, dico ma stiamo scherzando? Non Classificati.
Arctic Monkeys: Molto giovani. Molto spocchiosi. Un paio di pezzi molto belli. Molto sopravvalutati.
Yeah Yeah Yeahs: Lei è veramente coatta ma ha una gran voce e nonostante ce la metta tutta non riesco trovarla ridicola con le sue posture da discoteca di periferia. E le canzoni dell’ultimo disco dal vivo spaccano. Sorpresa.
Broken Social Scene: Indie rock professional. Sono tanti, sono bravi, hanno delle grandi canzoni e le suonano tutte, Lisa Lobsinger è una fata, sembrano felici di essere lì sopra. Anche noi lo siamo. Assi.
Daft Punk: Ci ho provato, davvero, ma dopo 10 minuti dei due pupazzi con la mascherina e del loro thumb thumb squeak squeak senza senso, per me, e 50.000 persone impazzite che ballano mi sento come un imbucato ad una festa di altri, che cazzo ci sto a fare qui? Arrivederci.
P.S. Se qualcuno è arrivato a leggere fin qui, un po’ come dall’oculista, mi fa ovviamente felice ma come dicevo all’inizio di questo chilometrico post questo è più che altro un memorandum a stretto uso personale. Ora mi fanno male le gambe, mi fischiano le orecchie e mi gira un po’ la testa perciò fatemi un piacere: se fra qualche mese comincio a favoleggiare di Reading, Fib, Primavera Sound o altro datemi una sberla, per favore.
P.S. Se qualcuno è arrivato a leggere fin qui, un po’ come dall’oculista, mi fa ovviamente felice ma come dicevo all’inizio di questo chilometrico post questo è più che altro un memorandum a stretto uso personale. Ora mi fanno male le gambe, mi fischiano le orecchie e mi gira un po’ la testa perciò fatemi un piacere: se fra qualche mese comincio a favoleggiare di Reading, Fib, Primavera Sound o altro datemi una sberla, per favore.
5 commenti:
bellissima recensione di un festival meraviglioso :)
anche io l'ho letto tutto, che vi credete! d'accordo quasi su tutto... soprattutto sui daft punk :P
beh, grazie.
In realtà è la prima volta che dopo un festival mi confronto, scrivendo o leggendo, con così tanta gente e devo dire che è dannatamente piacevole. Quello che emerge alla fine è che, chi più chi meno, We All Had A Fuckin' Great Time.
PS Kay: Tu hai ragione, la rilevanza dei B&S è innegabile ma ho sempre avuto un problema con loro. Ci ho provato a farmeli piacere ma li ho sempre trovati un po' farlocchi o forse sono semplicemente arrivati dopo l'unico gruppo che mi ha cambiato la vita e, si sa, questo compito spetta ad uno ed uno soltanto.
gran bella recensione!
Bella recensione! Peccato che non ti sei goduto i Radiohead (50% dei motivi per cui mi sono mossa fino al Pukkelpop)...
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