lunedì 29 dicembre 2008

A Year in Ten Steps (#2)

Fuck Buttons: "Street Horrrsing" (ATP Recordings) In realtà, a pensarci bene, non sono affatto sicuro che quello dei Fuck Buttons sia il mio secondo disco preferito tra quelli usciti ed ascoltati nel corso del 2008.
Del resto questa classifica è abbastanza casuale, almeno nel suo ordine gerarchico, come quelle che mi tocca redigere tutti gli anni per il giornale.
A dir il vero non so nemmeno perchè questo dicembre mi sia venuto in mente di pubblicarla anche sul blog la classifica.
Sentendomi pure in dovere di commentarla.
Trovo noioso e inutile tornare a parlare, commentare e scrivere di dischi di cui abbiamo parlato e scritto e per i quali abbiamo litigato e condiviso passioni per un anno intero.
Ma è andata così.
Fondamentalmente la colpa direi che è di due amici che in modi e momenti diversi mi hanno espresso il loro consenso per la playlist di fine anno pubblicata dal giornale.
Non mi capita spesso di trovare amici concordi sui miei gusti.
Dunque bisognava in qualche modo celebrare l'evento.
All'epoca dell'uscita del disco, qualche mese addietro, scrissi che i Fuck Buttons fanno musica destinata al dancefloor di una sala da ballo gestita a volumi impossibili e piazzata ai confini del mondo.
E questo mi piace.
Sono inglesi e pastrocchiano con aggeggi analogici: longeve tastiere Casio, piccole e plasticose baracche marca Fisherprice, quelle con cui i bambini si dilettano nei loro piccoli karaoke, qualche laptop e una serie infinita di effetti adoperati per sconvolgere e filtrare quel che ne esce.
Un rumore di fondo che lentamente quanto inesorabilmente prende ritmo, girando in tondo fino a trasformarsi in qualcosa che assomiglia a vera e propria melodia.
Aphex Twin e Autechre adatti ad inquadrare l'elemento elettronico, Neu! e Spacemen 3 per giustificare la circolarità del ritmo, Big Black e Sunn O))) per descrivere il rumore.
Forse i Sunn O))) non c'entrano nulla, ma loro li citano e mi pare sia un nome adatto a creare scompiglio più degli altri.
Se dovessi utilizzare un solo aggettivo per inquadrare la loro musica, la definirei tribale.
In the beginning there was rhythm.
In questo loro primo disco ci sono solo sei canzoni, di cui almeno un paio restano impresse da subito nella memoria.
La Sweet Love for Planet Earth che apre l'opera e che ultimamente ci è stata restituita dal vecchio Andrew Weatherall (il re dei dj viventi, alla faccia di tutti i ragazzini elctrodipendenti, no contest) in un remix magistrale.
Un groove inquietante nella sua apparente immobilità su cui rimbomba l'eco di un synth come fossero i rintocchi di una campana che sta suonando a morto.
Poi al minuto quattro e trentatre si apre un altro giro di tastiere.
Un minuto ancora e si innesta la voce che è peggio del peggior incubo.
Un rantolo isterico.
E Bright Tomorrow, traccia numero cinque, è una marcia tronfale verso la mattina di domani, suonata un attimo prima che l'alba illumini i cocci di una notte andata a male.
Minuto quattro e zero due, entra il synth.
Minuto cinque e trentasei, ancora il rantolo rabbioso.
Apocalisse.

3 commenti:

JR ha detto...

grande!

JR ha detto...

e cmq...

alcuni di questi dischi me li ha mandati a casa la sottoscrizione del rough trade album club... che forse rifarò..a questo punto...altrimenti io mgmt non li avrei mai presi.

patrick bateman ha detto...

Effettivamente uno dei due responsabili dell'apparizione di questa faticosissima playlist sei proprio tu.
Vado a studiarmi 'sta storia del Rough Trade Album Club.
Happy New Year, caro Jukka.

PS: il video col Girolami è davvero una delle cose migliori che ho visto in giro negli ultimi tempi.