Un paio di settimane fa, un venerdì sera, ero al Covo per il release party dei Tiger Tiger!
Il punto esclamativo alla fine del nome non è un sintomo del mio entusiasmo ma lo hanno voluto loro registrandolo nella ragione sociale.
Comunque la serata è stata divertente e il disco – 11 pm, edito dalla My Honey – lo trovo assai carino.
Prima del concerto me ne stavo appoggiato al banco del bar con il mio amico Stefano.
Stefano ha qualche anno meno di me ed insegna in un liceo in città.
Ad un certo punto a fianco ci è passato un ragazzo.
Ha infilato la scala che porta alla stanza di sopra dove solitamente alloggia il gruppo prima del concerto.
Lui e Stefano si sono salutati.
Poi il mio amico gli ha chiesto cosa ci facesse lì, e lui ha risposto che avrebbe suonato con il gruppo quella sera.
Il tipo era uno studente del liceo dove Stefano insegna.
Poco dopo, mentre me ne stavo in platea, osservavo i volti giovanissimi di quei ragazzi che suonavano una musica molto vicina ai miei ascolti abituali e pensavo una volta di più a dove ci ha portati lo scorrere del tempo.
Pensavo che sotto un certo punto di vista siamo arrivati all'anno zero.
Abbiamo finalmente depurato il prima, facendo tabula rasa.
I ragazzi che oggi in Italia si dedicano al tipo di musica che a noi interessa sono nati, proprio nel senso anagrafico del termine, con la nostra musica.
Non è più una questione dei dischi del fratello maggiore recuperati a quindici anni, di un articolo letto su di un Rockerilla dell'83, di un viaggio a Londra per festeggiare la maturità conseguita sui banchi di scuola.
Ora è diverso.
Qui si tratta di nascere (nascere, non crescere) in una casa dove nello scaffale dei dischi ci sono tre/quattromila titoli che alfabeticamente partono con la A di A Certain Ratio e finiscono con la Y di Yo La Tengo, Young Marble Giants e Yuppie Flu e la Z di Thalia Zedek e di Zen Circus.
Anche considerando lo sfasamento temporale con cui in Italia sono sempre arrivati i fermenti culturali relativi alla musica, i ventenni di oggi sono la prima generazione che può avere per genitori gente cresciuta con il punk e la new wave.
Non tutti certo, anzi realisticamente solo una piccolissima parte si trova in questa (invidiabile?) condizione.
Però chi ha quel genere di genitori (e magari al liceo un professore come il mio amico Stefano) ha oggi la possibilità di rendere pienamente propria un certo tipo di cultura.
Poi evidentemente farà le sue scelte, però la possibilità ce l’ha.
Non è più nella condizione obbligata di venire al mondo immerso nel liquido amniotico della cultura nazional popolare italiana e poi solo nel tempo, per gradi e successive approssimazioni, arrivare al termine di un percorso che (eventualmente) lo avrà portato a conoscere ed apprezzare altre cose.
Qui ed ora abbiamo, involontariamente per quanto naturalmente, completato l’opera di cancellazione del dna dei nostri figli e siamo giunti alla successiva iscrizione di un nuovo codice genetico.
Quello che porta impresso dentro di sé la frase rock and roll saved my life vergata a lettere fluorescenti.
Se a tutto ciò aggiungiamo la considerazione che oggi il gap temporale di trasmissione dell'informazione tra il centro dell'Impero (Inghilterra e Stati Uniti) e la sua periferia è stato praticamente annullato dalla velocità con cui tutto viene trasmesso in tempo reale, il gioco è fatto.
Oggi siamo allineati, perfettamente.
Il dna di un ragazzino di Zola Predosa è (o meglio può essere) lo stesso di un suo coetaneo di Camden o di Brooklyn.
Si parte dalle stesse basi.
Con lo stesso background.
Naturalmente è una semplificazione, ci sono altri fattori che incidono e le radici sono molto meno solide e radicate da noi rispetto che altrove.
Però ci sono.
Questo è il motivo per cui i dischi pubblicati in ambito indie dalle nostre parti in questi ultimi anni sono così in linea con quanto prodotto all’estero.
Non si tratta più solamente di una emulazione ritardata di quanto origliato fuori confine, ma proprio di un comune spirito di intendere la musica e le musiche del momento.
Finalmente anche noi siamo l’attualità.
E' tutto abbastanza ovvio.
Ma mi andava di metterlo nero su bianco.
PS: quanto scritto sopra non intende in alcun modo certificare da parte mia la qualità delle uscite italiane.
Che sono ottime, belle, discrete, anonime, mediocri e pessime quanto quelle provenienti da Inghilterra, Stati Uniti, Svezia, o da dove pare a voi.
mercoledì 12 marzo 2008
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8 commenti:
vero che ormai l'italia non è più una lontana provincia dell'impero. altresì vero che l'overdose di mezzi di comunicazione (l'odiato myspace tra gli altri) non fa migliorare. si allarga la base, non si alza l'altezza. non ho mai visto una tale quantità di gruppi/musicisti/progetti che arrivano a pubblicare la propria musica come in questi anni. peccato che siano quasi tutti inutili. come dice un mio amico, "quando decidi di fare musica, meglio non sapere niente di quella che fanno gli altri".
ciao
Bell'articolo. E bella musica. La quantita' c'e' sempre stata. Ora mi stupisce veramente l'affinita' con quello che ascolto. Avanti cosi'. Go Ego Go XD
art ascolta kids degli MGMT!
secondo me ti piace!!
Ah!!
Ho letto adesso che lo stai già ascoltando... ops!
vedi....
stessi gusti!
ever!!!!
Eccome se mi piace.
Con l'intro da marcia, quelle tastierine, la batteria che detta il tempo e il ritornello insistito.
Venerdì l'ho provata al Covo e ha funzionato alla grande.
Ho idea che accompagnerà la nostra estate alla spiaggia 72.
A parte il fatto che i Tiger Tiger da Zuni non mi sono per niente piaciuti bellissimo post.
(è anonimo ma sono Er-P)
Lieto di averti di passaggio dalle mie parti Er-P, davvero lieto.
Eh, ho tutti i bloggers che contano fra i preferiti, non sapendone niente di musica attingo da loro per farmi un'idea di what's going on :)
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