La sera di inizio ottobre 2000 in cui i Billy Mahonie suonarono a Bologna, ero tra il pubblico.
Al tempo non avrei perso un concerto neppure se nel frattempo si fosse giocata una finale di coppa dei campioni, e in quell'occasione avevo pure l'incarico di scriverne per il giornale.
Potrei quasi affermare fossi là per lavoro, se non che la musica per me non è mai stata un lavoro.
Arrivai presto e mi piazzai direttamente in prima fila già per il concerto del gruppo spalla, cinque ragazzi della provincia di Reggio Emilia.
Di loro mi colpì il fatto che il chitarrista suonava seduto e indossava un paio di Camper.
Quando si dice l'attenzione per il particolare.
In realtà mi piacquero immediatamente. Certo ricordavano parecchio i Mogwai, inutile nascondersi dietro un dito.
Di loro, all’epoca scrissi:
"Piacevolissima sorpresa, per chi già non avesse avuto occasione di gustarli, i Giardini di Mirò da Reggio Emilia, scuderia Gamma Pop, aprono con un breve set dal notevole impatto chitarristico. Brani in crescendo dall’ incedere vagamente epico, sulla falsariga di Mogwai, suonati con una padronanza degli strumenti degna di nota. Molto bravi e con sicuri margini di crescita data la giovane età."
Un tornado di fantasia.
Poco tempo dopo conobbi il chitarrista seduto e con le Camper.
Al Maffia, una sera in mezzo alla settimana, per un concerto degli Yuppie Flu. Lui stava al banchetto della Homesleep, io avevo una vecchia maglietta della Sarah Records.
Lui sapeva chi ero io, io sapevo chi era lui.
Aveva un nome che per lungo tempo pensai essere d'arte.
Si cominciò parlando del gruppo che avevo scelto per un articolo inserito in un allegato uscito qualche tempo prima assieme al giornale. Il libretto inventariava sommariamente "Il Rumore dalla A alla Z", ed io ero finito alfabeticamente in fondo, alla lettera V.
Velvet Underground, naturalmente.
Qualche tempo dopo recensii per il giornale il loro primo disco, The Rise and Fall of Academic Drifting.
Più avanti negli anni uno di loro mi confessò che ci rimasero un pò male per quella recensione.
Le loro legittime aspettative di band all’esordio frustrate da un tizio che li definiva post rocker padani.
Qualcuno ha scritto che i giornalisti non dovrebbero mai diventare amici dei musicisti.
A me le regole non sono mai piaciute, e poi non sono un giornalista. Nè mi è mai interessato diventarlo. Non in senso stretto almeno.
Comunque quando stringo amicizia con qualche musicista di solito smetto di scriverne.
Sulla carta stampata almeno.
E' che non mi sembra più una cosa naturale.
L'ultima volta che li ho visti suonare è stato il primo aprile del 2005 al vecchio Estragon, quello che oggi si chiama Kindergarten.
Fu il concerto di chiusura del lungo tour a seguire Punk not Diet. Si respirava un aria strana quella sera, un pò da fine delle cose. Il concerto si concluse con una cover di I Wanna Be Your Dog che sembrava la perfetta metafora dell’ultimo punto piazzato al termine di un romanzo.
Dopo il concerto ci si spostò in massa verso il Covo.
In macchina con me caricai A.R., allora cantante della banda, e una ragazza.
Dal sedile dietro A.R., a un certo punto mi chiese chi fossi.
Fu solo allora che scoprì di conoscermi da anni e mi regalò la confidenza che spiegava la serata.
Quello appena concluso sarebbe stato l'ultimo concerto dei Giardini di Mirò a cui lui avrebbe prestato la voce.
Quindi tutti quei segnali di fine corsa osservati durante la serata avevano effettivamente un senso compiuto.
Almeno per una persona.
Uno dei concerti di mezzo, quello del 7 aprile 2001 è stato appena oggetto dell’attenzione di Tyler.
Immaginavo che prima o poi ne avrebbe scritto.
A casa ha anche conservato da allora il poster della serata, quello riprodotto nella fotografia qui sotto.
Una notte particolare.
E sua.
Domani sera i Giardini di Mirò suoneranno al Covo. Una specie di release party per il loro nuovo disco, Dividing Opinions.
Il primo che mi da l’impressione di essere loro al 100%. La stessa identica sensazione lasciata da After Dark, My Sweet dei loro amici Julie’s Haircut.
A me il termine maturità applicato ad un artista non piace per niente, ma al momento non mi viene una parola più adatta per questi due gruppi. Forse si potrebbe semplicemente dire che i ragazzi hanno trovato la loro strada. Una strada che conoscevano già bene ma che non avevano la forza di percorrere fino in fondo prima, dando spazio alle passioni primitive senza alcun timore.
Magari anche domani sera succederà qualcosa di particolare, qualche episodio anche minimo ma comunque capace di rimanere invischiato nella ragnatela della memoria.
Chissà.
Di mio porterò i dischi, magari dopo il concerto qualcuno avrà anche voglia di ballare un paio di canzoni.
Al tempo non avrei perso un concerto neppure se nel frattempo si fosse giocata una finale di coppa dei campioni, e in quell'occasione avevo pure l'incarico di scriverne per il giornale.
Potrei quasi affermare fossi là per lavoro, se non che la musica per me non è mai stata un lavoro.
Arrivai presto e mi piazzai direttamente in prima fila già per il concerto del gruppo spalla, cinque ragazzi della provincia di Reggio Emilia.
Di loro mi colpì il fatto che il chitarrista suonava seduto e indossava un paio di Camper.
Quando si dice l'attenzione per il particolare.
In realtà mi piacquero immediatamente. Certo ricordavano parecchio i Mogwai, inutile nascondersi dietro un dito.
Di loro, all’epoca scrissi:
"Piacevolissima sorpresa, per chi già non avesse avuto occasione di gustarli, i Giardini di Mirò da Reggio Emilia, scuderia Gamma Pop, aprono con un breve set dal notevole impatto chitarristico. Brani in crescendo dall’ incedere vagamente epico, sulla falsariga di Mogwai, suonati con una padronanza degli strumenti degna di nota. Molto bravi e con sicuri margini di crescita data la giovane età."
Un tornado di fantasia.
Poco tempo dopo conobbi il chitarrista seduto e con le Camper.
Al Maffia, una sera in mezzo alla settimana, per un concerto degli Yuppie Flu. Lui stava al banchetto della Homesleep, io avevo una vecchia maglietta della Sarah Records.
Lui sapeva chi ero io, io sapevo chi era lui.
Aveva un nome che per lungo tempo pensai essere d'arte.
Si cominciò parlando del gruppo che avevo scelto per un articolo inserito in un allegato uscito qualche tempo prima assieme al giornale. Il libretto inventariava sommariamente "Il Rumore dalla A alla Z", ed io ero finito alfabeticamente in fondo, alla lettera V.
Velvet Underground, naturalmente.
Qualche tempo dopo recensii per il giornale il loro primo disco, The Rise and Fall of Academic Drifting.
Più avanti negli anni uno di loro mi confessò che ci rimasero un pò male per quella recensione.
Le loro legittime aspettative di band all’esordio frustrate da un tizio che li definiva post rocker padani.
Qualcuno ha scritto che i giornalisti non dovrebbero mai diventare amici dei musicisti.
A me le regole non sono mai piaciute, e poi non sono un giornalista. Nè mi è mai interessato diventarlo. Non in senso stretto almeno.
Comunque quando stringo amicizia con qualche musicista di solito smetto di scriverne.
Sulla carta stampata almeno.
E' che non mi sembra più una cosa naturale.
L'ultima volta che li ho visti suonare è stato il primo aprile del 2005 al vecchio Estragon, quello che oggi si chiama Kindergarten.
Fu il concerto di chiusura del lungo tour a seguire Punk not Diet. Si respirava un aria strana quella sera, un pò da fine delle cose. Il concerto si concluse con una cover di I Wanna Be Your Dog che sembrava la perfetta metafora dell’ultimo punto piazzato al termine di un romanzo.
Dopo il concerto ci si spostò in massa verso il Covo.
In macchina con me caricai A.R., allora cantante della banda, e una ragazza.
Dal sedile dietro A.R., a un certo punto mi chiese chi fossi.
Fu solo allora che scoprì di conoscermi da anni e mi regalò la confidenza che spiegava la serata.
Quello appena concluso sarebbe stato l'ultimo concerto dei Giardini di Mirò a cui lui avrebbe prestato la voce.
Quindi tutti quei segnali di fine corsa osservati durante la serata avevano effettivamente un senso compiuto.
Almeno per una persona.
Uno dei concerti di mezzo, quello del 7 aprile 2001 è stato appena oggetto dell’attenzione di Tyler.
Immaginavo che prima o poi ne avrebbe scritto.
A casa ha anche conservato da allora il poster della serata, quello riprodotto nella fotografia qui sotto.
Una notte particolare.
E sua.
Domani sera i Giardini di Mirò suoneranno al Covo. Una specie di release party per il loro nuovo disco, Dividing Opinions.
Il primo che mi da l’impressione di essere loro al 100%. La stessa identica sensazione lasciata da After Dark, My Sweet dei loro amici Julie’s Haircut.
A me il termine maturità applicato ad un artista non piace per niente, ma al momento non mi viene una parola più adatta per questi due gruppi. Forse si potrebbe semplicemente dire che i ragazzi hanno trovato la loro strada. Una strada che conoscevano già bene ma che non avevano la forza di percorrere fino in fondo prima, dando spazio alle passioni primitive senza alcun timore.
Magari anche domani sera succederà qualcosa di particolare, qualche episodio anche minimo ma comunque capace di rimanere invischiato nella ragnatela della memoria.
Chissà.
Di mio porterò i dischi, magari dopo il concerto qualcuno avrà anche voglia di ballare un paio di canzoni.
8 commenti:
a quell'ultimo concerto del 2005 c'ero anch'io. e proprio per quell'atmosfera strana e stanca ne rimasi deluso.
ieri com'è andata?
Bella serata.
Qualche problema tecnico all'inizio, superato da una band in grande forma.
Locale strapieno. Si replica, se ho capito bene, il 23 febbraio.
Nel proseguimento della notte gran bella serata anche per il dancefloor. Ho suonato di tutto: finalmente anche You Shook Me All Night Long degli AC/DC.
Arturo.. ancora una volta mi hai fatto ballare di brutto tutte le canzoni che mi piacciono!!
è un casino andare a prendere da bere o in bagno durante il tuo set, aspettando invano una canzone che "ti va meno di ballare".. perchè ciò non accade mai!!
alla prossima..spero presto!
un bacione
ecco smettila di sequestrarmi la dj e vieni a suonare da queste parti...
Credo che dovremmo buttare via tutti i nostri dischi e tutti i cd e tutti i poster e tutte le magliette e tutte le scarpe e tutte le spillette. Perché poi va a finire che deleghiamo a queste cose la costruzione della nostra identità. Che diventa una gabbia, a ben vedere, se ci sembra un atto liberatorio suonare gli AC/DC dopo un concerto dei Giardini di Mirò.
con affetto
Sergio
Len, con te, Pullo, Flavia e Fabio in pista è tutto più semplice.
Chris: per farmi perdonare studio il calendario e mi preparo a scendere da te.
Sergio: è un piacere saperti in platea. Spero di averti spesso da queste parti, attento e caustico come sai.
Comunque gli AC/DC non sono stati una "reazione" ai GDM ma solo un antico desiderio di un anziano dj indie mai realizzato.
ciao! gli ac/dc fanno il paio con una mia scelta nell'ultimo set: "Evil woman don't you play your game with me" dei Black Sabbath.
spero di poter presto con te con-dividere in consolle una scaletta r'n'r!
ad un prossimo calamari party??
un abbraccio
dust, una consolle condivisa con i calamari sarebbe un onore.
ma non vorrei contrariare mr. crown.
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