giovedì 23 ottobre 2008

Anything Could Happen

Ci sono cose che per un certo periodo di tempo appartengono stabilmente alla tua vita, poi per un motivo o per l'altro te ne dimentichi per anni, finché una mattina improvvisamente riemergono con una nuova ed inattesa dotazione di attualità.
Come i Clean, ad esempio.
Su di loro arrivai, come su tante altre cose, con un pauroso ritardo.
La prima volta che mi capitò di ascoltarli fu durante la visione di un film.
Topless Women Talk about their Life.
Non ricordo se la videocassetta fosse il frutto della registrazione di un passaggio notturno su Rai 3 o piuttosto un nastro noleggiato al videoclub che sta all'imbocco del ponte di via Libia.
A quei tempi affittavo video solamente là, una videoteca dotata di un reparto novità aggiornatissimo e di una sezione hard core davvero notevole, disposta in bell'ordine nell'ampio scantinato.
A dispetto del titolo, Topless Women Talk about Their Life non era un film porno.
Si trattava di una pellicola neozelandese del 1997 in cui "le situazioni si dipanano spesso attraverso luoghi comuni risaputi ma resi accettabili dal tono senza pretese e da un ritmo che consente il perdono delle molte ingenuità".
A me il film piacque, e ancor più mi piacque la colonna sonora che lo accompagnava.
Solo gruppi neozelandesi, proprietà esclusiva della Flying Nun Records, etichetta feticcio per ogni indie rocker che si rispetti.
Ma siccome nella mia città, ora come allora, per contare gli indie rocker che si rispettano bastano le dita di una sola mano, la Flying Nun, allora come ora, è bellamente ignorata da tutti.
Alla fine del film lavorai parecchio di telecomando (il fermo immagini nel videoregistratore era un vago concetto) per stoppare il fotogramma sui titoli delle canzoni che scorrevano in coda alla pellicola.
La colonna sonora mi era piaciuta tutta, tanto che poco dopo recuperai il cd con un avventuroso ordine inoltrato direttamente alla casa discografica ad Auckland, Nuova Zelanda (da quel pacco emerse anche un adesivo che conservo ancora con orgoglio).
Ma più di tutte le altre c'era una canzone che mi pareva il supporto ideale del mio credo musicale di quel periodo, credo che poco si discosta dall'attuale.
Partiva con un giro di chitarra semplice su cui interveniva una batteria essenziale quanto quella di Moe Tucker, poi entrava la voce: Well here I am in the big city / I’ve got no heart and I’ve got no pity.
E tutto girava in tondo sempre uguale.
Due minuti e spiccioli di pefezione assoluta.
Quella canzone si intitolava Anything Could Happen ed il gruppo che la suonava si chiamava The Clean.
Dei Clean avevo letto le lodi tessute da Stephen Malkmus in un intervista rilasciata qualche tempo prima, ed il loro nome era poi saltato fuori nel corso di un amabile e lunghissima chiacchierata con Ira Kaplan, che me li aveva descritti come una delle principali fonti di ispirazione per i suoi Yo La Tengo.
I Clean hanno pubblicato pochissimi dischi in quasi trent'anni di carriera, ma le loro canzoni sono rimaste lì, scolpite nella mia memoria.
Anche se non li ascoltavo da anni, non appena qualche settimana fa mi è capitato alle orecchie il nuovo singolo dei Love Is All, Wishing Well, ho riconosciuto immediatamente il giro di Tally Ho, una delle canzoni dei Clean a cui sono più affezionato.
Della somiglianza se ne è accorto anche qualcun altro.
E proprio in questi giorni qualcun altro ancora si è ricordato dell'importanza dei Clean, porgendogli omaggio.
Tutto nel giro di poche settimane.
Non sto a dirvi quanto mi faccia piacere che il nome dei Clean sia ricominciato a circolare.
E dovreste vedere il mio sorriso alla constatazione che due tra i miei gruppi preferiti del momento abbiano coscientemente (Times New Viking) e forse involontariamente (Love Is All), citato la banda dei fratelli Kilgour.
Anything Could Happen, and it Could Be Right Now.

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