lunedì 8 ottobre 2007

Railway Children

Oggi tornando a casa dal lavoro me la sono presa comoda.
Anziché infilare la rampa della tangenziale a Borgo Panigale, ho proseguito dritto lungo l'asse attrezzato, sbucando sui viali poco prima di Porta San Felice, proseguendo poi in circolo verso il ponte di via Stalingrado.
Così facendo sono passato davanti alla stazione dei treni e proprio mentre ero fermo al semaforo piantato poco prima la tabaccheria A.B., quella delle prevendite, ricordavo.
Non tanto quel 2 agosto, la vecchia radio Grundig posata sotto l'ombrellone che stava trasmettendo l'hit parade della RAI a quei tempi, 1980, un piccolo evento mediatico per un adolescente precocemente infatuato dalla musica e da quello che alla musica ruota attorno.
No, non è stato tanto quello a venirmi in mente.
Che a quello penso ogni volta mi capiti l'occhio sull'orologio sospeso in alto a sinistra, appeso al muro della stazione.
Immaginandolo sempre immobile sulle dieci e venticinque della mattina.
Rammentavo piuttosto le tante sgambate del mercoledì, diretto all'edicola, quella che ai tempi era piazzata di fronte all'ingresso, proprio sotto l'enorme tabellone nero dei treni in partenza ed in arrivo.
Era a quell'edicola che per primo arrivava il Melody Maker, ed era dunque da quell'edicola che si avviava settimanalmente il processo di conoscenza.
Rozzo, basilare, fatto di dieci nomi a settimana da appuntare sull'agenda in un ordine via via più confuso.
Fatto di quarantacinque giri che sarebbe comunque stato impossibile procurarsi ed elenchi di concerti londinesi e favolosi in posti che avremmo poi testato negli anni a venire essere poco più che pub sgangherati.

Prima ancora che il semaforo girasse al verde pensavo, come spesso mi capita, a come le cose siano cambiate in un lasso di tempo tutto sommato poco rilevante.
A quanto comoda e raggiungibile sia oggi l'informazione, diffusa attraverso tecnologia a (relativamente) basso prezzo, e al contempo quanto poco rimanga di questa immensa massa di dati, notizie, pareri e riflessioni variamente assortite che ogni giorno si affastellano sugli scaffali della nostra memoria sempre più sovraccarica.
Quasi quanto l'hard disk del computer dal quale sto scrivendo ora.
E dunque a quanto inutile sia questa enorme quantità di informazioni.
Anzi a volte persino controproducente.
A meno che queste informazioni non si decida di elaborarle e trasformarle in conoscenza.
Intendiamoci, non è che il Melody Maker e la sua carta ruvida, di quelle con l'inchiostro che rimaneva appiccicato al polpastrello delle dita, potesse essere considerato uno strumento di cultura.
Anche se certi articoli del vecchio Everett True hanno concorso in maniera inconfutabile a forgiare parte del mio gusto.
E' che il piacere di leggere e rileggere parole scritte su carta, sin quasi a mandarle a memoria, rimane per me unico, ora come allora.
E la parola scritta sulla carta rimane ancora, almeno a livello psicologico, una fonte di sapere più solida, un qualcosa a cui prestare attenzione maggiore.
Quello che è andato perduto e mai più sarà ritrovato è il successivo fascino delle ricerca che quelle pagine stimolavano (e tuttora sollecitano), irrimediabilmente smarrito dentro migliaia di cartelle condivise dagli utenti di un soul seek qualunque.
E poco dopo, mentre svoltavo a sinistra, sbirciando il portone colorato e decrepito che annuncia da lontano l'ingresso al Livello 57, pensavo a quanto assoluta, totale e granitica sia la convinzione che l'informazione sia cosa ben diversa dalla conoscenza e che se l’informazione totale ed immediata è oggi alla portata di tutti, non altrettanto lo è la conoscenza.
Quella la si acquisisce negli anni, e bisogna averne voglia, perché non basta avere una connessione veloce e tempo da investire in viaggio tra un link e l'altro.
Perchè la conoscenza sta sempre là fuori.
E bisogna alzarsi e muoversi e faticare e resistere per accumularla.

Poi una volta accomodato sul divano di casa mi capita di leggere un intervista a Genesis-P-Orridge, che vabbè non può essere considerato un maestro di vita, certo.
Però è uno che di cose ne ha viste, fatte e sentite.
E' uno di quelli che per me la sua opinione conta.
E guarda un pò a un certo punto salta fuori con una affermazione come questa:
"L'idea che più informazione abbiamo e meglio è, è sbagliata. Non è possedere maggiori informazioni che educa. E' viaggiare tra queste informazioni che può aiutarti a crescere. Se per esempio vai su Google e fai un click and drag su qualcosa che ti interessa, fai un esperienza che dura al massimo trenta secondi. Se invece per rimediare quello che cerchi devi viaggiare, visitare un altro paese, oppure cercare in una libreria, e poi in un altra, e poi in un altra ancora, magari arrivi a quello che cercavi dopo settimane, persino mesi, ma nel frattempo hai conosciuto gente, sentito le loro storie, hai conosciuto cose di cui nemmeno sospettavi l'esistenza. Questa è ricchezza. Con Google invece prendi, clicchi e vai. Arrivi diretto a quello che vuoi sapere, niente più e niente meno. E' un modo riduttivo di osservare il mondo. La gente è più pigra. Ha meno curiosità. Non è più capace di improvvisare".

Bingo!
Ecco un altro che riesce ad esprimere con chiarezza in poche battute un concetto che sopra ho confuso in mille parole.
Se avessi letto l'intervista prima di cominciare a scrivere questo post avrei risparmiato tempo e fatica con un semplice copia e incolla.
Nessuno sforzo, improvvisazione azzerata.

Comunque al Livello 57, sotto al ponte di Stalingrado, ho visto le Bikini Kill per cui aprivano le Team Dresch e il primo concerto in Italia di Ian Svenonius assieme ai suoi favolosi mAKE-UP, con l'esordio dei Cut sul palcoscenico.
Che se qualcuno allora mi avesse pronosticato la consolle del Covo al sabato sera in compagnia dello scatenato cantante di quella band (Ferruccio, non Svenonius, chiaro) gli avrei offerto una birra sgasata e calda, di quelle che a volte qualcuno vendeva all'uscita pescandole da un secchio in cui il ghiaccio si era da tempo tramutato in acqua, invitandolo nel frattempo ad andare a pigliare per il culo qualcun'altro.

5 commenti:

diego ha detto...

Ian Svenonius is my hero!

Lunarpunk ha detto...

sai arturo sono perfettamente d'accordo. quest'estate all'hana bi t'ho detto più volte quanto ho visto cambiare il covo negli ultimi anni (da quando lo frequento), con un ricambio completo tra concerto e dance floor successivo (almeno il venerdì)... ecco c'è myspace, ci sono i blog, la gente "conosce" la musica così, creando hype ingiustificati! per fortuna questo approcio penso sia solo una moda che spero passi presto
a presto giacomo

patrick bateman ha detto...

caro giacomo, immagino che a questo proposito la serata di sabato prossimo al covo sarà illuminante.
sotto diversi aspetti.
di mio mi impegno a mettere in valigia solo dischi "giusti".
immagino ci si veda lì.

Anonimo ha detto...

musica pessima al covo la sera dei myawesome la mettevi su tu?? a parte la scelta di mettere un loro pezzo 10 minuti dopo della fine del loro medesimo concerto...avanti il locomotive!!!

gigi

patrick bateman ha detto...

de gustibus.
comunque non erano affatto passati dieci minuti dalla fine del concerto.
sono certo che il locomotive saprà accontentare il tuo gusto.