domenica 26 luglio 2009

Dub Be Good to Me

"Il fatto di provenire da una piccola città ha sicuramente aiutato a unire generi lontani: la minoranza di persone che ascoltava o faceva musica allora, era unita contro la merda musicale italiana, e ascoltava senza distinzioni di genere ciò che proveniva da fuori perchè appariva interessante e fresco. Nuovo. Forse tutto questo si è un pò perso.
Paradossalmente ora che tutto è a portata di mano si rivalutano cose italiane, e parlo di molti miei colleghi che non sanno più dove andare a parare, e probabilmente si dimenticano che siamo nati come reazione a quell'ambiente sanremese o cantautoriale di cui ora parlano bene e reinterpretano brani.
Questa storia mi fa venire il voltastomaco.
La merda rimane merda e io non mi sento italiano, ma cittadino musicale del mondo."

Madaski - Africa Unite/The Dub Sync (Rumore # 210-211, pag. 39)

giovedì 23 luglio 2009

Bad Men

Non era un tipo superstizioso ma ogni volta che il calendario proponeva l'incrocio tra il numero 17 e la giornata di venerdì non poteva fare a meno di immaginare che qualcosa sarebbe andato storto.
Diciamo che il suo personalissimo sistema di allerta in quelle 24 ore rimaneva tarato su uno stato di costante pre allarme.
Quel venerdì di metà luglio capitò poi che fosse il giorno più caldo di una delle settimane più calde dell'anno.
E a lui il caldo dava fastidio.
In effetti quel venerdì 17 le cose non andarono granché bene, almeno nelle prime 22 ore della giornata.
Niente di che, solo una serie di piccole cose tutte allineate nella direzione sbagliata.
Poi arrivò finalmente il buio.
Erano da poco passate le 10 della sera quando assieme a una leggera brezza proveniente dal mare sulla bassa pedana di cemento sotto la tettoia arrivarono i tre ragazzi di Detroit.
Riconobbe subito Mick.
Era facile.
L'unico nero nella zona, a parte qualche venditore ambulante di plasticose spade illuminate, comunque l'unico nero con una chitarra in mano e l'asta di un microfono davanti.
Poi Mick lo conosceva già, avendolo visto suonare anni prima a San Francisco.
Cantava in una banda di nome Dirtbombs.
Anche con l'altro chitarrista aveva avuto un esperienza tempo addietro, ma quella volta il chitarrista era truccato da donna e l’attenzione di tutti era catalizzata dalle due ragazze che erano con lui sul palco.
Praticamente nude.
Si chiamavano Demolition Doll Rods.
Alle spalle del nero e dell’ex travestito, seduta davanti un batteria ridotta ai minimi termini, quel venerdì sera era seduta una ragazza.
Lei no, non l'aveva mai vista prima.
Ai suoi occhi la tipa rappresentava un capolavoro di stile: abito nero, occhiali scuri, rimbombo secco, minimale e sempre uguale.
Lou Reed una volta affermò che secondo lui esistevano solo due tipi di batteristi: Moe Tucker e tutti gli altri.
La ragazza sulla piattaforma, che di nome faceva Peg, apparteneva alla prima tipologia di batteristi.
I batteristi Moe Tucker.
Due timpani, niente rullate, niente piatti.
E questo a lui piaceva.
Il concetto di bassa fedeltà portato all'estremo e coniugato a ritmiche rock and roll.
I Gories.
Non era un caso se tra il pubblico poco prima aveva notato la lunga barba di Tizio, non era un caso.
A un certo punto Mick, il nero colossale con la chitarra a tracolla, accennò un passo di danza assieme al suo amico Dan, il chitarrista ex travestito.
Fu allora che quel venerdì 17 svoltò.
Sorrise.
Con Gabriele lì di fianco commentò che il pubblico non era il solito.
Le facce erano quasi tutte sconosciute.
Del resto il pubblico abituale quella sera era probabilmente a Ferrara dove suonava il ragazzo gay australiano.
La gente di lì aveva pance da bevitori di birra e tatuaggi per niente rassicuranti.
E le ragazze ballavano come nei film di Rodriguez e Tarantino.
Gli Oblivians poco dopo suonarono sulla piattaforma mezza invasa dal pubblico.
Un concerto punk.
C'erano ragazzi americani venuti apposta in vacanza in Italia per poter seguire le due date di questo tour.
La riunione di due bande che in modo diverso ma con importanza simile avevano fatto la storia del garage rock negli anni '90.
Due tizi in particolare erano davvero incredibili.
Entrambi infilati in camicie arancione, i due potevano avere un età indeterminata tra i 35 e i 55 anni e un entusiasmo infantile chissà quanto carburato dall'alcool.
Entrambi smilzi e affilati, quello basso saltava su e giù con le braccia tese verso il cielo.
Praticamente la fotografia della gioia.
L'altro, quello alto, portava in testa un cappello di paglia e si muoveva come se al posto dei piedi avesse un paio di molle.
Certi personaggi credeva esistessero solo dentro ai film di Hal Hartley.
Quando gli Oblivians intonarono il loro inno tutto il pubblico, quelli appesi alla tettoia come quelli schierati sulla duna a fianco, quelli ondeggianti alla sinistra della piattaforma e quelli affacciati alle finestre del bar aperte dietro al palco, tutti assieme urlarono le parole.
Bad Man.
Il tipo pensò che l'essenza stessa del rock and roll fosse tutta lì.
In quel posto, tra quella gente, con quella musica.
L'orologio sopra il banco del bar segnava mezzanotte e due minuti.
Era finalmente sabato.
Il 18 di luglio.